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QUATTRO NOTTI DI UN SOGNATORE
il cinema(tografo) di Robert Bresson
film in programma a
settembre 2007
03/09 PERFIDIA (1944)
10/09 AU HASARD BALTHAZAR (1966)
17/09 MOUCHETTE (1967)
24/09 IL DIAVOLO PROBABILMENTE (1977)
ogni lunedì ore 21.00, Centro Giovanile Cappuccini (via M. Terlizzi, Bisceglie)
“Questa storia è vera. Io ve la racconto com’è, senza inutili ornamenti”
(incipit di Un condannato a morte è fuggito, 1956)
Proseguono, dopo la pausa estiva, gli appuntamenti del Cineclub Canudo con una rassegna, curata da Antonio Musci e Daniela Di Niso, intitolata “Quattro notti di un sognatore – Il cinema(tografo) di Robert Bresson”, che si terrà a settembre, ogni lunedì alle ore 21.00, presso la sala proiezioni del Centro Giovanile Cappuccini (sito in via M. Terlizzi, nei pressi della Chiesa Cappuccini) a Bisceglie.
Si comincia il 3 settembre con Perfidia (1944), per proseguire il 10 con Au hasard Balthazar (1966), il 17 con Mouchette (1967) ed infine il 24 con Il diavolo probabilmente (1977).
Proprio come per Rossellini l’anno scorso, anche per Bresson, esattamente il prossimo 25 settembre, ricorrerà il centenario della nascita e questa rassegna (che segue quelle dedicate a Rossellini, Ophüls, e Petri), vuol essere un omaggio a colui che Jean Cocteau definì un “autore a parte”, il padre indiscusso del cinema moderno e ispiratore, senza avervi mai aderito esplicitamente, della nouvelle vague, la ben nota corrente di rinnovamento del cinema francese, i cui principali esponenti – tra cui Godard, Truffaut, Rohmer, per non citare che alcuni nomi – furono tra i più convinti sostenitori del suo cinema, contro la cosiddetta “tradition de qualité”, allora imperante in Francia, rappresentata dalla generazione precedente di cineasti.
Bresson prende le distanze dal cinema “della trasparenza” e dalle regole codificate dal cinema hollywoodiano – come del resto aveva già fatto prima di lui Rossellini in Italia -, per re-inventare attraverso i suoi film (in un percorso che si dispiega lungo tutto l’arco della sua produzione artistica, ma che raggiunge la piena maturità negli anni ’50 e ’60), l’arte cinematografica in quanto “cinematografo”, come egli amava definirlo per distinguerlo dal cinema in quanto semplice riproduzione fotografica del teatro o luogo dove si proiettano i film. Bresson tenta di riappropriarsi di quell’essenza originaria del cinema, mai venuta alla luce, se non in rari casi, che costituisce la specificità del cinematografo, ovvero la sua capacità di dar vita alle cose, senza sottrarre loro il mistero, poiché, come sostiene Bresson “un film è la cosa nel momento in cui avviene, è il presente, un presente continuo” (Robert Bresson né visto né conosciuto, intervista di F. Weyergans, 1965).
A nulla servono dunque quegli “inutili ornamenti”, quella “impressione di realtà” che il cinema classico cerca di conferire alla materia dei suoi film, nel tentativo disperato di farli assomigliare alla vita “vera”, né tanto meno lo zelo di attori professionisti, che trascinano con sé le intenzioni e il pensiero dietro i gesti e le parole, uccidendo la spontaneità automatica dei gesti quotidiani. A partire da Un condannato a morte è fuggito (1956), che Truffaut definirà il film più decisivo degli anni ’50, Bresson rinuncerà agli attori professionisti per ricorrere a dei “modelli”, come egli li definisce, più adatti alla sua ricerca antinaturalistica della verità: “La cinepresa non deve riprendere movimenti e gesti esteriori, ma cogliere i movimenti interiori dell’anima, la “sostanza”, di cui nessun occhio si accorge a prima vista” (Un leone dimenticato, intervista di A. Tassone). Il risultato sarà di una straordinaria intensità emotiva, più vera della realtà stessa, poiché per Bresson “la verità sta innanzitutto nella sensazione e nell’emozione, posto che l’emozione derivi dalla sensazione. È proprio a partire da questa sensazione che bisogna iniziare a lavorare” (Robert Bresson né visto né conosciuto, intervista di F. Weyergans, 1965).
È su questo piano che Bresson riesce ad instaurare con lo spettatore un rapporto autentico di comunicazione, che parte proprio dall’emozione, ma che si compie sul piano del pensiero e della riflessione che induce nello spettatore. Siamo lontani anni luce dall’attuale immiserimento e dalla mercificazione a cui è costantemente sottoposto il linguaggio attraverso i mezzi di comunicazione di massa: la logica coercitiva del profitto che sottende alle moderne pratiche della comunicazione, sconfina nel campo della creazione artistica, impedendole di cogliere e trasmettere il senso profondo e misterioso della realtà.
La coerenza è il principale tratto distintivo di Bresson, che lo porterà a compiere scelte coraggiose, ma anche rinunce, nel pieno rispetto della propria libertà intellettuale: il rigore morale si traduce immediatamente in rigore stilistico, poiché come egli sostiene, “è la forma ancor più della sostanza che educa ed eleva” (Robert Bresson né visto né conosciuto, intervista di F. Weyergans, 1965). Condividendo la lezione di Bazin, nelle sue scelte sarà mosso principalmente da una preoccupazione di tipo morale, più che da motivazioni prettamente estetiche, come nel caso della scelta di non rappresentare mai la morte sullo schermo.
Si è dibattuto a lungo sul presunto pessimismo di Bresson, che a tal proposito taglia corto dicendo: “Non sono io che sono pessimista, è la realtà che è tragica”. La sua è dunque una visione tragica, nel senso attribuito da Nietzsche al termine, per cui attraverso essa si prende atto del lato terrificante della vita, senza che ciò comporti la ricerca di una soluzione consolatoria.
Bresson, proprio come Rossellini, rappresenta nella storia del cinema un “altro inizio”, il tentativo di andare oltre il cinema, per penetrarne più a fondo l’essenza: “In un momento in cui la letteratura forse è un po’ opaca, le Arti sono in fase di ridefinizione, la scoperta del cinematografo è una cosa talmente splendida, che fa pensare all’avvenire e a tutta una nuova zona di esplorazione che, mi sembra, la letteratura, la pittura o le altre arti non sono in grado di offrire” (Robert Bresson né visto né conosciuto, intervista di F. Weyergans, 1965).
La programmazione del Cineclub Canudo prosegue ad ottobre ogni lunedì alle 21.00, presso il Centro Giovanile Cappuccini con la rassegna “Under the influence”, dedicata a John Cassavetes.
comunicato QUATTRO NOTTI DI UN SOGNATORE
Tesseramento cineclubcanudo: euro 10,00 (ingresso riservato ai soci)
info: 340.2215793 / 340.6131760 / info@cineclubcanudo.it
www.cineclubcanudo.it
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